Il clima pazzo ha costretto gli organizzatori della terza edizione del Lars Festival a spostare l’intero caravanserraglio dentro il Teatro Comunale. Fuori la pioggia ha lasciato il posto a una tiepida serata di fine primavera. Dal maxischermo, posizionato nella piazzetta adiacente, l’arbitro sta per fischiare la fine di una “Spagna – Olanda” che ha lasciato tutti increduli (5-1 per gli Orange). Entriamo. Sul palco si stanno esibendo i Radio Moscow: distorsioni ruggenti, riff al vetriolo e code psichedeliche da lasciare senza fiato; r’n’r allo stato primordiale fra Stooges, Motorhead, Black Angels, Black Keys, Black Sabbath, e il “black” ricorrente non è tanto per fare i ganzi, d’altronde sono loro stessi a essere vestiti di nero dalla testa agli stivaletti. Il tempo di una birra e ci sistemiamo nel loggione centrale.
Sul palco arrivano i Massimo Volume. Colpiscono l’irruenza immediata di Dymaxion Song (con riferimenti a John Cale); poi la strabiliante Aspettando i Barbari, dove le chitarre di Pilia e Sommacal inventano scenari vagamente shoegazing, mentre il testo declamato da Clementi s’imprime inesorabile: “Lo so, non era questo il vino promesso, gli inviti, i fiori, le risate…“; il sound poderoso, perfetto e ricco de La cena: “Se penso a te ti vedo in via dei Tigli“; l’andatura quasi marziale di Compound; le note cavernicole e incalzanti del Dio delle zecche e una Vic Chesnutt nuova nel divenire superba e pervasa di solennità. Dopo la storia di Silvia Camagni si addensa un tappeto sonoro tenue e propedeutico alla cavalcata meccanica de Il primo Dio: “C’è forza nelle tue parole“. Da Cattive Abitudini – che nel complesso rimane forse l’album più riuscito – sono riprese Le ore contate, La bellezza violata e il consistente strepitio di Litio. Infine c’è spazio per i pezzi da (dei) 90 come Senza un posto dove dormire, La città morta, Fuoco fatuo. Inossidabili.
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