Petits Fours
Cooking Vinyl/Edel
Vado a memoria ma credo che mai un album che ha come fonte di ispirazione il Lussemburgo (meglio sarebbe dire, per consentirvi di comprendere la scelta della ragione sociale, il Granducato del Lussemburgo) abbia modificato la storia del rock. Escluderei senza timore “Axis: Bold As Love” e “The Piper At The Gates Of Down” e, al pari con sicurezza, “The Joshua Tree” e “OK Computer”. Premesso, allora, che difficilmente la nuova opera di Black Francis (uno che con i Pixies quella storia sì che l’ha cambiata…) e della di lui consorte Violet Clark provocherà movimenti tellurici nelle discoteche mondiali, va anche detto che “Petit Fours” è, quanto meno, in media con le produzioni “recenti” del folletto americano. Le melodie che i Grand Duchy costruiscono – incentrate in maniera spasmodica sulle chitarre elettriche (e non potrebbe essere diversamente) ma costruite pure attorno a un’elettronica elementare quanto accattivante – giocano tutto il loro fascino sull’alternanza, nelle parti vocali, di moglie e marito; quando tocca alla Signora (“Lovesick”, “Seeing Stars”) vengono fuori ballate elettrificate per nulla banali e, comunque, assolutamente godibili, mentre nel momento in cui al microfono si avvicina per primo colui che, in casa, dovrebbe portare i pantaloni i risultati sono meno coinvolgenti (“Ermesinde”). A tenere a galla le sorti dell’album ci pensano, comunque, i continui duetti che vedono coinvolta la coppia, con “Fort Wayne”, eccellente intermezzo semiacustico, una spanna superiore al resto. Compare, con una certa insistenza, il fantasma degli ultimi Stereolab (“Break The Angels”, pop facile e senza troppi contenuti) tanto che la scelta di cantare in qualche occasione in francese non sembra affatto un caso. L’eco dei Pixies, infine, si respira su uno e un solo brano (“The Long Song”), il cui basso puntuale come un metronomo è sufficiente a far tornare alla mente il momento in cui, senza averne piena consapevolezza, assistevamo alla genesi di una delle più importanti formazioni dell’ultimo quarto di secolo. Oggi, purtroppo, semplice ricordo.