Maya
XL/Self
Che M.I.A. sia una delle artiste cruciali dell’ultimo decennio è ormai un dato di fatto lampante. Che “Maya”, ideale sigillo di un tris da urlo avviato con i precedenti “Arular” e “Kala”, sappia segnare perfettamente i nostri tempi lo si capisce altrettanto al volo. Sul piano sonoro si prosegue sui binari di un meticciato moderno che si avvale della collaborazione di Blaqstarr, ma anche di Rusko e degli immancabili Diplo e Switch: c’è l’elettronica ballabile e più fresca oggigiorno in circolazione (l’irresistibile singolo “XXXO”, la schizofrenica “Story To Be Told”, la reggaeggiante “It Takes A Muscle”), c’è il rap scioglilingua (“Lovalot”), c’è il pop melodico e senza barriere geografiche (da “It Iz What It Iz” alle conclusive “Tell Me Why” e “Space”), c’è l’attitudine punk convertita all’era del digitale (“Steppin Up” o “Meds And Feds”), c’è la tendenza a sperimentazioni estese e multiformi (“Teqkilla”).
Che la ragazza, inglese di origini cingalesi, continui a toccare tematiche filo-politiche e di assoluto spessore, magari sobillata dalla recente nascita del primo figlio, è poi un bel valore aggiunto: l’intento è puntare il dito contro il monopolio dei motori di ricerca, la mistificazione delle notizie diffuse in Rete, edulcorate e non rispecchianti la crudezza della realtà. Com’è parecchio crudo il video realizzato da Romain Gavras per la tellurica “Born Free”, contenente un sample della “Ghost Rider” dei Suicide: un vero e proprio capolavoro, in metaforica opposizione a tutte le persecuzioni ai danni delle minoranze, che purtroppo è stato censurato ed eliminato persino da YouTube (per tornare al discorso della libera informazione…). Mathangi “Maya” Arulpragasam – ecco da dove proviene il titolo dell’album, dopo gli omaggi prestati in passato al nome paterno e materno… – marcia a testa alta, con le orecchie e gli occhi ben spalancati. Sta a voi scegliere tra pillola azzurra e rossa, tra le numerose simulazioni dalle mire omologanti e le meraviglie da lei dispensate con somma consapevolezza.
tratto dal Mucchio n° 672/673